Timore riverenziale consiste nell’apprensione di avere contro di sé gravemente e lungo offesi e indignati coloro che esercitano una potestà o verso i quali si è tenuti a prestare riverenza e onore, come ad esempio i genitori oppure gli altri superiori. Il timore riverenziale si presume leggero, a meno che non sia qualificato, cioè non siano intervenute preghiere importune e insistenti, liti, alterchi che abbiano turbato l’animo del soggetto passivo del timore e che rendono la sua vita intollerabile costringendolo a temere il male sovrastante della indignazione grave dei genitori o dei superiori. La prova del timorée reverenziale non è affatto facile. Il giudice deve callare nello stato d’animo del soggetto passivo del timore, per accerare il suo stato soggettivo di agitazione a causa di un elemento esterno, che lo ha portato a dare il consenso. Si tratta quindi di una valutazione soggettiva sulla portata delle minaccie, dell’indignazione del superiore dello stato del soggetto. A questo scopo il giudice deve usare i dicersi mezzi di prova, come le dichariazioni delle parti, le testimonianze, ma nache le perizie. La più importante in questo caso è sicuramente la prova indiretta basata sille circostanze e sulle presunzioni. Accertato l’intervento esterno del soggetto attivo basato sulla relazione particolare esistente tra i due soggetti del timore, l’aversio del soggetto passivo al matrimonio oppure alla persona dell’altro coniuge, la causalità tra il timore e la scelta matrimoniale produce la presunzione della scelta non libera di cui però si deve pronunciare sempre il giudice.
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